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LA CUTE E IL SOLE

Dott. Luciano Schiazza
Specialista in Dermatologia e Venereologia
Specialista in Leprologia e Dermatologia Tropicale
c/o InMedica - Centro Medico Polispecialistico
Largo XII Ottobre 62
16121 Genova
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La luce del sole ha sempre rappresentato per l’uomo sinonimo di benessere fisico, di culto, di adorazione. Dal Dio Sole degli Egiziani (RA), al greco Apollo (dio della luce e della saggezza), al Dio Sole degli Atzechi (Tonatiuth), il simbolo del sole, espressione di autorità e maestà, ha attraversato i secoli permeando la storia delle varie civiltà. Come non ricordare l’autoritaria unione con la luce solare che Luigi XIV di Francia evocò per il suo regno (il Re Sole).

Ai nostri giorni tutto ciò si è trasferito nel contesto individuale ed il culto e l’adorazione per il sole si è trasformato in un fenomeno di moda: una pelle ben abbronzata è considerata segno di salute, di benessere, di distinzione e prestigio sociale. L’abbronzatura ha assunto toni simbolici: per molti di noi costituisce una finalità, una ambizione prioritaria di adeguamento a modelli sociali improntati ad immagine di successo, giovinezza e seduzione.

Questa falsa impressione di efficienza fisica ha indotto ed induce la gente a cercare di rimanere ambrata tutto l’anno, in contrasto agli ammonimenti ed agli avvertimenti che i dermatologi hanno sempre lanciato contro questo atteggiamento.

E’ opportuno a questo punto, per chiarire i rapporti tra luce solare e cute, definire le caratteristiche fisiche e biologiche dei raggi solari, il ruolo ed il significato della melanogenesi, i caratteri costituzionali dei soggetti, le caratteristiche dei prodotti che applicati sulla cute proteggono dai raggi solari.

LE RADIAZIONI SOLARI

Radiazioni solari

L’energia che il sole esprime è dispensata sotto forma di radiazioni elettromagnetiche.

Lo spettro solare che raggiunge la superficie della terra (fig.1) rappresenta una piccola frazione dell’energia emessa dal sole (fig.2): ciò avviene per la presenza dell’atmosfera ed in particolare dello strato di ozono (O3) nella stratosfera.

Questo fondamentale agente fotoprotettivo agisce essenzialmente come filtro che assorbe le radiazioni al di sotto dei 285 nm (nm=nanometro: è per convenzione l’unità di misura delle radiazioni solari e corrisponde a 10-9metri, equivalente a un millimicron, ossia ad un milionesimo di millimetro).

Esso si trova tra i 15 e 35 Km al di sopra del livello del mare e si forma a seguito della reazione con determinati raggi ultravioletti (RUV), gli UVC: (fig.3) quando gli UVC colpiscono una molecola di ossigeno (O2) la scindono in due atomi di ossigeno (O+O=2O) che si combinano rapidamente con altre molecole intatte di ossigeno (O2) formando così ozono (O3).

O2 ---uv-c----------- 2O
2O + 2O2----------- 2O3

La proprietà di questo gas di assorbire facilmente la luce ultravioletta fa si che esso venga scisso nuovamente nelle due componenti ( O2 e O), in una ripetizione continua di dissociazione e formazione. Si crea così uno stato di stazionaria uguaglianza tra i due processi con il risultato, in condizioni costanti, di una stabilizzazione dell’ozono.

L’ozono ha la proprietà di bloccare varie radiazioni (nocive per gli esseri viventi) con una banda di assorbimento molto forte tra 200 e 310 nm (banda di Halery) e una più debole tra 310 e 350 nm (banda di Huggins). In particolare sono bloccati gli UVC, raggi ultravioletti corti (190-290 nm) a grande energia e le radiazioni a cortissima lunghezza d’onda (raggi X, raggi gamma e raggi cosmici), le quali, se non schermate, renderebbero impossibile qualsiasi forma di vita animale a causa della loro capacità di penetrare profondamente i tessuti.

Spetttro solare
Fig 2 (Spettro solare)

L’ozono non è di spessore uniforme ma varia a seconda della latitudine con un minimo all’equatore ed un massimo alle regioni polari, con variazioni stagionali alle medie latitudini che vanno da un massimo di ozono all’inizio della primavera a un minimo verso la fine dell’autunno; ai tropici le variazioni stagionali sono minime.

Vari fattori influenzano l’intensità dei raggi UV che raggiungono la terra: latitudine, orario di esposizione, altitudine, umidità atmosferica,natura della superficie del suolo.

L’energia delle radiazioni sulla terra è inversamente proporzionale al loro percorso nell’atmosfera: quindi quanto esso è minore  tanto maggiore è la loro energia. A mezzogiorno quando il sole è perpendicolare alla superficie terrestre (zenith) i rischi di eritema sono maggiori rispetto alle 17 quando i raggi solari sono più obliqui ed attraversano uno strato maggiore di ozono.

Anche salendo di altezza si riduce il percorso delle radiazioni, l’atmosfera è meno torbida e minore è la massa d’aria da attraversare: si ha pertanto un aumento di circa il 15% ogni 1000 metri di dislivello rispetto al livello del mare.

Inoltre minore è il tasso di umidità ambientale, maggiore è la trasparenza alle radiazioni solari: ciò è più apprezzabile in montagna dove l’umidità assoluta è minore rispetto al livello del mare (a 3000 metri di altitudine è 1/3 rispetto a quanto si apprezza in riva al mare).

Da non dimenticare l’effetto delle radiazioni riflesse che vanno a sommarsi all’irradiazione diretta: si definisce albedo di una superficie orizzontale il rapporto tra l’energia riflessa da una superficie e l’energia incidente, ossia il suo potere percentuale di riflessione: così la neve ne riflette l’84%, la sabbia il 17%, un prato verde il 3%, l’acqua circa il 5% con un massimo del 10% se il fondo è sabbioso.

Da non sottovalutare un cielo nuvoloso: le nubi assorbono intensamente l’infrarosso, annullando la sensazione di calore, ma lascia filtrare quote importanti di UV.

FOTOBIOLOGIA CUTANEA

Fotobiologia cutanea
Fig 3

La fotobiologia cutanea (ossia quella parte della medicina che si interessa delle modificazioni fisiologiche e patologiche che l’assorbimento della luce provoca a livello cutaneo) pone particolare attenzione alle lunghezze d’onda comprese tra i 290 e 800 nm. (fig.3).

Le radiazioni tra i 190 e 400 nm. sono chiamate raggi ultravioletti (UV), nonostante non siano visibili all’uomo. Essi comprendono:

UVC ( UV corti: 190-290 nm.): sono nocivi per l’uomo ma, fortunatamente, sono assorbiti dallo strato di ozono.

UVB ( UV medi: 290-320 nm.): rappresentano solo l’1% della radiazione solare che raggiunge la terra. Bloccati dal vetro, vengono assorbiti dall’epidermide per il 90% (soprattutto a livello dello strato corneo, 80%) mentre il restante 10% raggiunge il derma. Sono responsabili dell’eritema solare (fotoustione di I grado o scottatura) che inizia dopo circa 6-8 ore dall’irradiazione raggiungendo il massimo nelle 12-24 ore successive per attenuarsi nel giro di qualche giorno. Ad essi si deve anche la cosiddetta pigmentazione indiretta dovuta all’attivazione di una reazione biochimica a catena a livello dei melanociti (vedi melanogenesi). Compare dopo circa 48-72 ore dalla fotoesposizione e raggiunge il massimo dopo 2-3 settimane. Dura a lungo (settimane o mesi) e produce la “vera” abbronzatura. Gli UVB inoltre, più energetici degli UVA, come effetto a lungo termine (anni), possono esporre al rischio di fotocarcinogenesi, ossia alla comparsa di tumori cutanei, a seguito dei processi fotochimici che inducono mutazioni somatiche. Lo sviluppo di tumori cutanei sarebbe altresì favorito dalle alterazioni del sistema immunitario cutaneo, in senso immunosoppressivo, che gli UV sono in grado di indurre.

UVA ( UV lunghi: 320-400 nm.): vengono suddivisi in UVA corti, i cui effetti biologici sono più vicini a quelli degli UVB, e UVA lunghi. Attraversano il vetro e provocano una immediata leggera pigmentazione, cosiddetta pigmentazione diretta, il cui grado di abbronzatura dipende dal tipo di cute del soggetto, dal grado di abbronzatura precedente e dalla durata dell’esposizione. Sarà più intensa nei soggetti di carnagione scura e tanto maggiore quanto era il grado di abbronzatura precedentemente acquisita. Questa abbronzatura è molto rapida ad apparire ma altrettanto rapida nello sparire specie dopo brevi esposizioni, potendo però durare anche più di un giorno e mezzo se l’esposizione ad UVA ad alta intensità è prolungata. Non essendo dovuta alla produzione di nuova melanina né ad aumentato trasferimento di melanosomi nei cheratinociti questa pigmentazione è priva di azione fotoprotettiva e non porta mai alla abbronzatura duratura.

Anche l’UVA possiede effetto eritemigeno ma in misura enormemente inferiore all’UVB (per ottenere lo stesso effetto eritemigeno che si ha a 297 nm. è richiesta a 365 nm. mille volte più energia irradiativa). Poiché però nello spettro solare ci sono relativamente più UVA che UVB, si ritiene che gli UVA possano contribuire per circa il 15% alla risposta eritematosa che si verifica quando il sole è a mezzogiorno. Inoltre essendo la quantità di raggi UVA che raggiunge la terracirca 10 volte più grande di quella degli UVB, gli effetti cumulativi a lungo termine delle radiazioni UVA possono essere importanti quanto quelli degli UVB, considerando anche che gli UVA di maggior lunghezza d’onda ( oltre 340 nm.) sarebbero in grado di svolgere effetto mutageno e perciò carcinogeni, probabilmente per azione sinergica con gli UVB.

Sia gli UVB sia gli UVA vengono assorbiti dall’atmosfera in misura direttamente proporzionale allo spessore dell’atmosfera ( all’equatore gli strati atmosferici sono più sottili rispetto alle altre parti del globo), al grado idrometrico ( più è bassa l’umidità atmosferica,maggiore è la quantità di raggi che ci raggiunge), all’incidenza dei raggi (più sono obliqui, più lungo è il tragitto compiuto nell’atmosfera).

I raggi UVB, alle nostre latitudini, sono praticamente assenti prima delle dieci del mattino e dopo le tre di pomeriggio mentre raggiungono la massima quantità quando il sole è allo zenith, a mezzogiorno). Inoltre in altitudine i quantitativi di UVA e UVB sono molto importanti (4% di aumento dell’intensità ogni 300 metri di altezza) e i fenomeni di riflessione degli UV si sommano agli UV diretti nella loro azione a livello cutaneo (sulla neve il grado di riflessione è di 0.85, sulla sabbia asciutta di 0.17, sull’acqua di 0.05).

Le radiazioni di lunghezza d’onda tra i 400 e 800 nm. sono indicate con il termine di porzione visibile dello spettro elettromagnetico o semplicemente con luce, per descrivere una radiazione che si percepisce visivamente (queste radiazioni ed in particolare quelle tra 420-470 nm. vengono usate nella cura dell’ittero neonatale – fototerapia).

Le radiazioni oltre gli 800 nm. (infrarossi, microonde ed altri) non causano effetti biologici a meno che non siano di intensità sufficiente a generare calore e dare luogo a fenomeni istolesivi.

MELANOGENESI CUTANEA

Nell’ambito della fotoprotezione il ruolo fondamentale viene svolto dalla “unità melaninica epidermica”, unità funzionale e strutturale che comprende due tipi di cellule: il melanocita che è una cellula di forma ramificata specializzata nel sintetizzare pigmento (melanina) e da un grappolo di cheratinociti, circostanti il melanocita, che ricevono il pigmento (36 per ogni melanocita).

Cellule

I melanociti sono situati a livello dello strato germinativo dell’epidermide nel rapporto ¼-1/10 (ossia un melanocita ogni 4-10 cheratinociti basali) e messi insieme non sarebbero più grandi di una zolletta di zucchero del volume di 1-1.5 centimetri cubi.

Allorché i raggi UV (in particolare UVB) arrivano sulla pelle, vi è un aumento del numero dei malanociti funzionanti e della quantità di melanina prodotta. In particolare all’interno dei melanociti vi sono alcuni organelli citoplasmatici di forma ellissoidale denominati melanosomi nei quali avviene la reazione biochimica che porta alla sintesi del pigmento (melanina , macromolecola proteica).

La stimolazione dei raggi UVB farebbe si che i melanosomi vengano prodotti in quantità maggiore e che più velocemente siano trasferiti attraverso le ramificazioni, dette processi dendritici (che subiscono un maggiore accrescimento e diramazione), ai cheratinociti e successivamente dispersi nell’epidermide. Il risultato visibile di tale processo è l’abbronzatura. E’ bene ribadire che questa è la vera abbronzatura, perchè frutto della melanogenesi, indotta dagli UVB (cosiddetta pigmentazione indiretta o ritardata).

Invece la pigmentazione che si manifesta dopo l’esposizione agli UVA è definita pigmentazione diretta o immediata (IPD = Immediate Pigment Darkening ossia iscurimento immediato del pigmento) o fenomeno di Meirowski. E’ una abbronzatura labile, di breve durata, espressione di una semplice reazione ossidativa sulle melanine presenti negli strati epidermici superficiali ancora allo stato non colorato: è solo un fenomeno di superficie, che non può proteggere a sufficienza da successivi irraggiamenti, mancando la produzione di pigmento.

L’esposizione alle lampade UVA provoca perciò una effimera abbronzatura che necessita di continue esposizioni per essere mantenuta e questo propone altri problemi in quanto i raggi UVA non sono innocui: essi penetrano più in profondità nella cute rispetto agli UVB, giungendo al derma (fig. 3) dove scaricano la loro energia, producendo danni irreversibili a strutture importanti e delicate come il collagene e l’elastina ( dermatoeliosi o fotoinvecchiamento, equivalente al photoaging).

Ciò avviene quando l’esposizione solare è cronica e prolungata, in quanto gli effetti dannosi delle radiazioni solari sono cumulativi, non completamente riparabili, in parte dovuti ad azione diretta in parte mediati dalla formazione di radicali liberi e si sommano sull’epidermide e sul derma sin dall’infanzia. Tipiche localizzazioni sono le regioni esposte del viso, del dorso del collo, della superficie volare delle mani, della superficie calva degli uomini e della zona del decolleté nelle donne.

Espressioni cliniche del photoaging sono: l’elastosi solare, la cutis romboidalis nuchae (tipica della parte posteriore del collo che si presenta fortemente rugosa nelle persone che lavorano all’aperto come i contadini ed i marinai), le teleangectasie del viso, le lentigo senili, le cheratosi attiniche, l’ipomelanosi guttata sugli arti (particolarmente la superficie anteriore delle gambe), le pigmentazioni diffuse in chiazze sul dorso delle mani e delle braccia.

Come detto il prodotto ultimo della melanogenesi è la melanina. Se ne distinguono due tipi: la eumelanina (di colore bruno-nero, alto peso molecolare, struttura polimerica, insolubile nei comuni solventi) e la feomelanina (giallo-rossa, solubile nelle basi diluite, rinvenibile nelle urine). La eumelanina è presente nella razza caucasica e negroide quindi in soggetti di pelle scura sotto capelli scuri o neri mentre la feomelanina è tipica della razza celtica, di coloro cioè che hanno la pelle chiara con numerose efelidi, con i capelli ramati o color carota.

Questa diversità ha una traduzione pratica determinante per la diversa capacità protettiva delle due melanine nei riguardi delle radiazioni UV. Infatti i feomelanosomi, più piccoli dei melanosomi dei caucasici, sono trasferiti in gruppi ai cheratinociti e sono rapidamente digeriti nel primo strato al di sopra dello strato basale, rendendo così poco significativa la loro capacità protettiva. Nella razza caucasica i melanosomi, di piccolo volume, vengono trasferiti ai cheratinociti in pacchetti e si degradano più lentamente, ma non si ritrovano nello strato corneo.

>Razze umane

Nella razza negroide i melanosomi, oltre ad essere più grandi e maturi in quantità maggiore, sono trasferiti come unità nei cheratinociti, non sono digeribili e quindi non degradano, ritrovandosi intatti anche nello parte superficiale della cute (corneo), a formare uno strato continuo che assorbe gli UV. Questo diverso destino esprime chiaramente i tipi di pigmentazione propri delle razze indicate nella figura .

Avvenuto il trasferimento dei melanosomi dai melanociti ai cheratinociti, questi si raggruppano a forma di cappa sopra il nucleo (fenomeno capping) proteggendo così il materiale genetico della cellula .

eumelanina

 

La eumelanina, inoltre, oltre a servire da filtro e da schermo che diffrange e riflette una parte dei raggi incidenti, ha una struttura stabile “trappola” per i radicali liberi che si formano a seguito della esposizione alle radiazioni UV.

Le feomelanine invece aumentano invece la produzione di radicali liberi dimostrandosi pertanto non solo prive di attività fotoprotettiva ma veri aggressori chimici, spiegando così la fotosensibilità e l’accresciuta carcinogenesi dei soggetti feomelanici.

Nell’ambito della fotoprotezione la pelle, sollecitata dall’irradiazione ultravioletta, come difesa dai raggi solari non attiva però solo la melanogenesi ma, nel breve volgere di giorni, attraverso un processo di moltiplicazione degli strati di cheratinociti, accresce il suo spessore, praticamente raddoppiandolo. Questa forma di importanteprotezione però scompare velocemente dopo una vacanza al sole e così si rischia di ritenersi sufficientemente protetti per le eventuali successive esposizioni osservando il colore della propria abbronzatura, non potendo materialmente verificare l’ispessimento della pelle. La stessa cosa avviene per chi si abbronza artificialmente: non solo non viene stimolata la melanogenesi ma neppure l’epidermide si ispessisce.

Il terzo elemento fotoprotettivo è rappresentato dall’acido urocanico (UCA), presente nella cute e nel sudore. Metabolita dell’istidina, esso aumenta con l’irradiazione solare, sotto l’azione degli UVB, nella forma cis, per ritornare nuovamente nella forma trans in assenza di luce. In questa sua azione di filtro dissipa l’energia in calore.

Non dimentichiamo poi uno schermo permanente: i peli ed i capelli.

CARATTERI COSTITUZIONALI DELLA CUTE UMANA IN RAPPORTO ALLE RADIAZIONI SOLARI

Ogni individuo mostra un proprio comportamento cutaneo quando si espone alla luce solare: chi non ha sentito dire “io mi abbronzo subito, ho la pelle scura; io mi scotto tutte le volte che mi espongo al sole perché ho la pelle chiara “. Sono due estremi di valutazione dei caratteri biologici che condizionano gli effetti delle radiazioni solari sulla cute umana. In termini scientifici si parla di fototipo ossia del biotipo cutaneo in funzione della reattività alla luce.

Tabella classificazione del fototipo

Si deve ad un dermatologo di Boston, U.S.A., T.B. Fitzpatrick, aver impostato il problema con rigore scientifico, definendo il tipo di pelle in rapporto al comportamento della stessa in occasione dell’esposizione al sole.

Tale metodologia si basa su una anamnesi solare con la quale si definisce l’intensità e la durata della reazione eritematosa (scottatura) e la capacità di pigmentazione (abbronzatura), analizzate in base ai primi 45-60 minuti di esposizione al sole dopo l’inverno o dopo esposizione solare nulla.

Come si vede dalla tabella 1 sono sei i tipi di pelle individuati nelle varie razze umane: i primi quattro appartengono ad individui caucasici, i tipi cinque e sei a soggetti meticci e negroidi, con agli estremi quegli individui che si scottano sempre e non si abbronzano mai e dall’altra color che si scottano minimamente e si abbronzano sempre con facilità, escludendo il fototipo VI.

A questo metodo, che definisce il tipo di pelle sulla base degli effetti immediati delle radiazioni, se ne sono affiancati altri ed in particolare quello di Jean Pierre Cesarini il quale, oltre che sull’anamnesi solare assume, come ulteriori parametri di valutazione, alcuni caratteri fenotipici.

Questa classificazione (tab.2) si avvale di elementi statici (colore dei capelli, colore invernale della pelle, presenza o meno di efelidi nelle zone esposte al sole – viso, spalle, braccia, gambe, dorso) e di elementi dinamici (assenza di eritema, eritema alle prime esposizioni, eritema ad ogni esposizione; tipo di abbronzatura).

Questo autore afferma che il colore base della cute deriva dal contributo di tre caratteri semplici – il rosso, il biondo ed il bruno (ereditati e controllati geneticamente) – le cui combinazioni danno luogo a sei possibili accoppiamenti a cui corrispondono altrettanti fenotipi. Agli estremi troviamo da una parte gli albini, incapaci di sintetizzare pigmento e perciò privi di ogni protezione se non l’ispessimento del corneo e dall’estremo opposto coloro che sono dotati di una protezione assoluta.

Tabella classificazione del fototipo
(1) Rx = rosso Bl = biondo Br = bruno - (1) Rx = rosso Bl = biondo Br = bruno

Al fine di prevenire gli effetti negativi acuti eritematogeni e cronici degenerativi della energia elettromagnetica solare sulla cute, occorre avvalersi di sostanze che, applicate sulla pelle, assicurino capacità di bloccare, in maniera assoluta o parziale, le radiazioni attiniche.

Tale protezione si avvale di due categorie di sostanze:

1)sostanze ad effetto filtrante;

2)sostanze ad effetto schermante.

SOSTANZE AD EFFETTO FILTRANTE (FILTRI CHIMICI)

Questo gruppo comprende composti che hanno la proprietà di assorbire una parte delle radiazioni prima che raggiungano la cute: l’energia emessa dall’irradiazione UV è assorbita dalla molecola fotoprotettrice (passaggio dallo “stato iniziale” allo “stato eccitazione”), in rapporto ad una determinata lunghezza d’onda.

Tali filtri hanno la capacità di liberare lentamente l’energia assorbita in forma di calore o fluorescenza con ritorno allo stato non eccitato o di rimanere stabili nel loro “stato eccitato”. Offrono quindi una protezione antisolare che potenzialmente si mantiene a lungo.

Manipolando chimicamente la struttura delle varie molecole è stato possibile diversificare il loro potere di assorbimento verso determinate lunghezze d’onda dello spettro: ciò ha imposto nella formulazione di uno schermo solare l’utilizzo di diverse sostanze per raggiungere una completa protezione.

I principali filtri sono:

PABA (acido para-amino-benzoico) e derivati.

Il PABA è attivo parzialmente sugli UVB, scarsamente sugli UVA. Insolubile in acqua, può essere fonte di allergia crociata con i cosiddetti “derivati para” (diuretici tiazidici, anestetici locali, i sulfamidici). Fu utilizzato particolarmente negli anni cinquanta e sessanta; attualmente vengonopreferiti i derivati, molti dei quali sono solubili in acqua e non penetrano nella pelle, riducendo in tal modo il rischio di dermatiti da contatto o fotosensibilizzazione. Anche i derivati PABA proteggono parzialmente dagli UVB mentre sono inattivinei confronti degli UVA.

Derivati dell’acido cinnamico (cinnamati).

Hanno uno spettro d’azione col massimo di assorbimento per gli UVB, con un picco di assorbimento massimo intorno a 310 nm., ma a 340 nm riescono ancora a trattenere il 40% degli UVA. Hanno poca sostantività e ciò li rende scarsamente resistenti all’acqua. Sono molto utilizzati per il basso costo e per la scarsissima capacità di penetrare nello strato corneo che li rende praticamente privi di tossicità. Generalmente sono usati in combinazione con altre sostanze fotoprotettive.

Salicilati.

Offrono scarsa fotoprotezione; vengono però spesso utilizzati perché sono stabili, non sensibilizzanti e insolubili in acqua, permettendone così l’uso in prodotti resistenti all’acqua, atossici e dal costo relativamente modesto. Vengono inoltre utilizzati, nel formulare un prodotto antisolare, per solubilizzare altri prodotti scarsamente solubili. Illoro spettro d’azione è solo sugli UVB con un picco di assorbimento attorno ai 300 nm.

Benzofenoni.

Molecole stabili fotochimicamente, hanno uno spettro d’azione soprattutto nella regione degli UVA (320-350 nm).

Dibenzoilmetani.

Questi composti offrono un’ottima capacità di assorbimento sia degli UVB sia degli UVA, avendo uno spettro d’azione compreso tra i 290 ed i 370 nm; tuttavia la loro instabilità determina, sotto l’azione della luce, la produzione di altri composti con diversa proprietà fisica non altrettanto efficaci.

SOSTANZE AD EFFETTO SCHERMANTE/RIFLETTENTE (FILTRI FISICI)

Sono rappresentate da particelle di metalli pesanti in grado di disperdere, riflettere o assorbire sia i raggi UV sia le radiazioni visibili. Sono costituiti da polveri bianche ad alto potere coprente. Tra i più usati l’ossido di zinco, il biossido di titanio, l’ossido di ferro, il caolino. All’inizio il loro utilizzo presentava dei limiti (comedogenicità, fotosensibilizzazione, fotodegradabilità, aspetto bianco-pastoso della pelle una volta applicati), ma la tecnologia recente grazie a tecniche di micronizzazione ha permesso di ottenere polveri finissime cosmeticamente accettabili, invisibili sulla pelle, stabili, non fotosensibilizzanti, consentendo perciò di superare i precedenti limiti.

Tali sostanze sono utilizzate nella fotoprotezione di soggetti particolarmente sensibili agli UV: non solo però di coloro che lo sono in base al loro fototipo, ma anche e soprattutto per quelle personeche sono affette da dermatosi che sviluppano eruzione cutanea dopo l’esposizione agli UVB, agli UVA e/o alla luce visibile. Ne sono esempio, tra le altre, l’eruzione polimorfa alla luce, l’orticaria solare, il lupus eritematoso, la dermatomiosite, lo xeroderma pigmentoso.

Oggi la ricerca di molte case di cosmesi ha permesso un miglioramento dell’efficacia dei filtri, dellatollerabilità cutanea e ha assicurato una copertura uniforme su tutto lo spettro UVA-UVB. In più sono stati aggiunti principi attivi che rafforzano le fisiologiche proprietà protettive della pelle, neutralizzando i radicali liberi prodotti dall’esposizione solare.

La formulazione di un prodotto antisolare odierno si avvale dell’associazione di uno o più filtri e/o schermi, ognuno in modica quantità, per garantire sicurezza d’uso sia in termini di fotoprotezione sia in termini di minor assorbimento. A ciò si aggiunga l’uso di selezionati veicoli od eccipienti che svolgono un ruolo essenziale sia per l’efficacia del prodotto sia per la sua distribuzione uniforme sulla cute. Sono disponibili in varie formulazioni: emulsione, latte, crema, spray, lozione, gel, stick che permettono di adattarne l’uso al tipo di pelle, alle necessità di utilizzo e alla sua accettazione dal punto di vista cosmetico.

IL FATTORE DI PROTEZIONE ANTISOLARE

(FP = fattore di protezione o SPF = Sun Protector Factor), indicato sulla confezione con un numero, si riferisce alla capacità del prodotto di filtrare o schermare i raggi solari UVB che inducono l’eritema (quanto più grande è il numero, maggiore è il grado di protezione). Esso quindi non comprende gli UVA, apparentemente più dolci einnocui ma in realtà più penetranti nella pelle, e responsabili non solo del precoce invecchiamento e delle macchie scure, ma anche delle reazioni fototossiche e fotoallergiche. Per gli UVA vi sarebbero altre metodiche quali l’IPD (Immediate Pigment Darkening) e il PPD (Persistent Pigment Darkening), le quali tuttavia hanno dei limiti nella riproducibilità, sicuramente migliore nel secondo.

Questo fattore è calcolato, con un test statico, comparando la quantità di tempo necessaria a produrre un minimo eritema (MED, minimal erythema dose, ossia minima dose eritemigena) su cute protetta da filtro solare rispetto al tempo necessario a causarlo su cute non protetta. Se per esempio una persona con la cute chiara manifesta eritema dopo una esposizione di dieci minuti, usando uno schermo solare con SPF15, occorreranno 150 minuti di esposizione (10 x 15 = 150) prima di diventare rosso. Il grado di protezione non aumenta in proporzione al numero di SPF. Con un fattore 30 il 97% dei raggi eritematogeni sono assorbiti, mentre con un SPF15 la percentuale scende al 93% e con SPF2 al 50%. Nel caso in cui il prodotto sia protettivo anche per gli UVA, viene indicato sulla confezione.

Oggi le industrie produttrici si avvalgono come procedura di riferimento per la valutazione dell’indice di fotoprotezione del metodo COLIPA, che corrisponde all’European Cosmetic Toiletry and Perfumery Association, il quale garantiscemigliori requisiti di standardizzazione e riproducibilità grazie soprattutto all’ottimizzazione dei caratteri della sorgente di irradiazione ed alla lettura della MED con strumentazione colorimetrica.

Nell’uso pratico però la protezione ricevuta può essere diversa da quella promessa dall’etichetta. Questo perché difficilmente viene applicata sulla cute la stessa quantità di prodotto usata in laboratorio (2 mg. per cm2): infatti un soggetto adulto per rispettare il numero di SPF riportato sulla confezione, dovrebbe applicarne 40 grammi per volta per proteggere tutte le zone esposte del proprio corpo. Inoltre spesso ci si dimentica di riapplicare il prodotto antisolare dopo la prima applicazione o lo si fa non rispettando i tempi consigliati (solitamente ogni 2 ore o dopo il bagno o intensa sudorazione).

Tra gli altri fattori che possono influenzare l’efficacia degli schermi solari nella pratica quotidiana ricordiamo il tempo che intercorre tra l’applicazione e l’esposizione (dovrebbe essere di almeno 30 minuti), l’effetto della luce solare esterna che nei tests di confronto con il simulatore solare di laboratorio tende a dare valori di SPF minori, la composizione della formulazione, la persistenza (capacità dello schermo di conservare la propria efficacia nelle condizioni d’uso normali) e la sostantività (capacità di tenuta dello schermo nel mantenersi negli strati superficiali dell’epidermide a distanza di tempo dall’applicazione) del prodotto, importanti soprattutto a garantire l’efficacia del prodotto anche dopo sudorazioni abbondanti e bagni in acqua. Riguardo a quest’ultima ricordiamo che l’acqua di mare rimuove meno filtro rispetto a quella di lago, di fiume o di piscina e che una maggiore temperatura dell’acqua riduce la durata della protezione.

E’ utile sottolineare che l’uso degli schermi solari non ha come fine l’allungamento dei tempi di esposizione al sole: in tal modo sostituiremmo la tutela da una irradiazione acuta con una irradiazione cronica. Essi servono a proteggere la pelle durante una normale esposizione.

Riguardo al possibile effetto negativo degli schermi solari sulla sintesi della vitamina D3, in particolare nel bambino e nell’anziano, il mantenimento di un adeguato stato di questa vitamina è garantito dall’esposizione casuale alla luce solare. Infatti i raggi UVB che attraversano i vestiti sottili e che colpiscono aree cutanee non protette adeguatamente permettono all’organismo di avere le quantità di vitamina D3 necessarie al fabbisogno quotidiano.

E comunque nell’anziano che non abbia subito importanti danni da esposizione alla luce del sole appare prudente consigliare soltanto frequenti e brevi esposizioni del volto e degli arti superiori per 15 minuti 2-3 volte alla settimana tra le ore 11 e 14 durante il periodo estivo oppure avere una esposizione corporea totale per 30 minuti alla settimana per coprire i fabbisogni minimi di vitamina. Nel lattante sono sufficienti 2 ore alla settimana di esposizione della testa e delle mani. Nei casi di soggetti che debbono usare filtri totali, si può prevedere un aumento di vitamina D3 assunta con la dieta (200 UD/die contenuti in una pillola o in 3 bicchieri di latte).

CONSIGLI PER UNA MIGLIORE ESPOSIZIONE SOLARE

  1. Esporsi al sole gradualmente, specie neiprimi giorni, alternando sole ed ombra, per permettere alla pelle di acclimatarsi al sole. Più chiara è la pelle, più lentamente si aumenterà il tempo di esposizione.

  2. Usare uno schermo solare. Inizialmente con SPF da 15 in su, per prevenire le ustioni. In seguito adeguarlo al proprio fototipo e al luogo in cui ci si espone.

  3. Applicare lo schermo solare da 30 a 60 minuti prima di esporsi al sole, in maniera generosa.

  4. Applicare lo schermo solare in maniera da raggiungere uno strato uniforme: a tal fine può essere utile applicare il prodotto due volte consecutivamente.

  5. Riapplicare lo schermo solare almeno ogni 2 ore e sempre dopo aver nuotato o sudato abbondantemente.

  6. Non dimenticare di proteggere l’elice dei padiglioni auricolari, la parte posteriore del collo, le parti calve del cuoio capelluto, la parte superiore del piede comprese le dita, il cavo popliteo (piega del ginocchio).

  7. Ad alta quota, se si pratica l’alpinismo o lo sci, il rischio di ustioni è più grande e quindi utilizzare sempre schermi solari ad alto SPF, non trascurando di applicarli su naso, orecchie e labbra.

  8. All’equatore il sole è più forte. Usare filtri con SPF da 15 in su.

  9. Se il cielo è nuvoloso non dimenticare di applicare lo schermo solare: l’80% dei raggi UV passano attraverso le nubi e raggiungono la nostra pelle.

  10. Sotto l’ombrellone proteggersi ugualmente: stare all’ombra è di aiuto ma non difende dalle radiazioni riflesse o diffuse.

  11. Ridurre al minimo l’esposizione solare tra le 11 e le 16 (ora legale), ore in cui l’irraggiamento è massimo. Pianificare le attività all’aperto nel primo mattino e nel tardo pomeriggio. Ricordiamoci: quando l’ombra è più corta dell’altezza dell’oggetto che l’ha generata, sarebbe bene non esporsi.

  12. Attenzione alle superfici riflettenti. Sabbia, neve, ghiaccio, superfici di cemento possono riflettere sino al 80% dei raggi solari sulla nostra pelle.

  13. Proteggere i bambini. Al di sotto di sei mesi di età evitare del tutto l’esposizione al sole. In seguito insegnate loro al più presto a proteggersi dal sole: i danni iniziano dalla prima esposizione e si accumulano mano a mano nel corso della vita. E’ stato calcolato che l’80% dell’esposizione al sole di tutta la vita avviene nei primi 18 anni di vita. Proteggeteli perciò con uno schermo adatto, cappello, maglietta e occhiali da sole.

  14. Attenzione ai farmaci. Alcuni farmaci possono aumentare la sensibilità al sole. Se state assumendo un farmaco, prima di esporvi al sole, chiedete sempre consiglio al vostro medico o al farmacista.

  15. Evitare di restare a lungo immobili al sole. E’ preferibile esporsi in movimento, piuttosto che distesi e comunque, anche in questo caso, cambiare spesso posizione.

  16. Usare sempre gli occhiali da sole. Anche gli occhi possono subire danni dai raggi ultravioletti. Proteggiamoli con lenti di buona qualità, in grado di schermare i raggi UV.

  17. Attenzione al vento. La freschezza che dà alla pelle può indurre ad allungare incautamente i tempi di esposizione con maggiori rischi di scottature.

  18. Non usare mai profumi o deodoranti profumati quando ci si espone al sole: si eviteranno possibili macchie sulla pelle.

  19. Evitare l’uso di superfici riflettenti per aumentare l’abbronzatura.

  20. Attenzione: l’ustione dovuta ad una eccessiva esposizione al sole non si osserva immediatamente ma possono trascorrere sino a 24 ore prima che sia completamente visibile.

  21. Alla sera, dopo la doccia, applicare sulla cute del viso e del corpo, un prodotto idratante dopo sole.

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